La lunga strada di Gaza


Non mi sono ancora espresso in merito alla situazione a Gaza, d'altra parte nessuno me lo ha chiesto e c'è già tanta gente che ne parla, anche se talvolta solo per sentito dire. Tuttavia, dato che scrivo romanzi a sfondo geopolitico, che questa pagina si occupa spesso di questioni internazionali e che qualcuno trova interessanti i miei articoli in proposito, mi permetto di dire la mia.
Tengo a precisare che la mia posizione non è né antiebraica né antiaraba: dal momento che, etimologicamente, il termine "semita" include le lingue ebraica e araba, non sono "antisemita". Quindi, se sperate di trovare una giustificazione allo sterminio di una delle due parti, andatela a cercare altrove, perché di sicuro quello che ho da dire non vi piacerà.
Tutto ha un perché, ma a qualcuno non interessa la soluzione, bensì il mantenimento del conflitto, anche se provoca la morte ingiustificabile di migliaia e migliaia di persone. Io cercherò solo di esporre - molto in breve, dunque perdonatemi le approssimazioni e le dimenticanze - che cosa è successo. Il mio approccio, come al solito, non può che essere storico. E qui la Storia comincia da molto lontano.

Breve excursus nel lontano passato. In epoca biblica la terra degli ebrei, chiamata Israele, vede il passaggio di assiro-babilonesi, persiani e romani, e l'inizio della Diaspora: i suoi abitanti sono costretti all'emigrazione, quando non vengono deportati o venduti come schiavi. Nel I secolo, i romani decidono di cacciare gli ebrei dalla Palestina: non riusciranno ad allontanarli tutti dal Medio Oriente, ma cercano di finire ciò che hanno cominciato i babilonesi. A Gerusalemme però ha le sue radici il Cristianesimo, che si consolida un po' alla volta anche nel resto dell'Impero Romano.
Tuttavia nel VII secolo d.C. la Palestina viene conquistata dagli arabi e Gerusalemme si trova a essere il punto nodale di tre religioni, diverse anche se imparentate tra loro. Sicché dall'XI secolo si indicono in Europa le Crociate per la "liberazione della Terrasanta" e nascono i Regni Cristiani d'Oriente, che cadranno però dopo duecento anni. La Palestina torna a essere araba, gli europei vengono rimandati a casa. Ma qualcun altro sta per espandersi dalla Turchia e tutti coloro che sono rimasti qui saranno equamente soggiogati. Nel XVI secolo infatti il territorio diventa parte dell'Impero Ottomano e lo rimarrà per quattrocento anni, fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Nel frattempo gli ebrei emigrati in Europa sono stati vittime di persecuzioni, cacciate, discriminazione, sterminio e persino disinformazione, atta a dipingerli come creature malefiche cui attribuire ogni colpa: è un'usanza che avrà particolare successo durante il nazismo e perdurerà fino ai giorni nostri. Per questo già nell'Ottocento sorge tra gli ebrei in Europa il cosiddetto "Movimento Sionista" (dal Monte Sion, nei pressi di Gerusalemme) che teorizza il loro ritorno alla terra d'origine, in uno stato di Israele.

Al termine della Prima Guerra Mondiale crolla l'Impero Ottomano (cioè la Turchia). La Società delle Nazioni (antesignana dell'ONU) affida al Regno Unito il controllo della Palestina, in cui vivono ora arabi e una minoranza di ebrei. Lawrence d'Arabia, il britannico che durante il conflitto è divenuto uno dei leader della Rivolta Araba contro la dominazione ottomana, è tra i primi a proporre per la Palestina la "soluzione dei due stati", uno arabo e uno ebraico.
Nel frattempo però in Germania sale al potere il nazismo, la cui minaccia non viene adeguatamente considerata in Occidente. Le leggi razziali di Hitler sono accolte prontamente dall'Italia fascista e persino dalla Spagna franchista. Cominciano le deportazioni, delle cui vere conseguenze ci si renderà conto solo quando si troveranno montagne di cadaveri nei campi "di concentramento", in realtà di sterminio. Tutto ciò induce gli ebrei - quelli non ancora rastrellati - alla fuga dalle regioni d'Europa che cadono via via sotto il nazi-fascismo: dei superstiti, alcuni riparano negli USA, dove molti altri sono emigrati da tempo; alcuni approdano invece nella Palestina a guida britannica, dove la popolazione è a maggioranza araba.
La Seconda Guerra Mondiale e l'Olocausto lasciano un bilancio di sei milioni di ebrei sterminati dal nazismo, oltre a quasi altrettanti milioni di vittime di varie etnie, religioni, caratteristiche fisiche e orientamento sessuale o politico. La crescente presenza di rifugiati ebrei in Palestina, che i britannici stanno invano cercando di frenare, turba gli equilibri: sfocia in rivolte, in scontri etnici e persino in atti di terrorismo di matrice sionista. Londra decide di lasciare la Palestina e l'ONU raccomanda la formazione dei "due stati", una proposta accolta dagli ebrei ma rifiutata dagli arabi. In tutto questo Stalin, anche se odia gli ebrei, li sostiene per qualche tempo in Palestina, sperando di trarne qualche vantaggio politico.

Nel 1948 le consegne del territorio della Palestina passano dal Regno Unito al nascente Stato di Israele, uno dei "due stati", con confini prestabiliti. La risposta degli Stati arabi circostanti (la Lega Araba) consiste nell'attaccarlo immediatamente. Senonché Israele ha il sopravvento e dopo lo scontro occupa addirittura più territori di quelli che gli erano stati assegnati. Lo Stato Ebraico vive in una continua situazione bellica, ma ha di nuovo la meglio nella Guerra dei Sei Giorni (1967) e nella Guerra dello Yom Kippur (1973), allargandosi sempre di più. Tra le aree conquistate nel 1967 ci sono anche la Striscia di Gaza (al confine con l'Egitto) e la Cisgiordania (al confine con la Giordania), due territori - popolati da coloro che ormai sono chiamati "palestinesi" - che avrebbero dovuto far parte di uno stato che la Lega Araba non ha voluto che esistesse, pensando di potersi riprendere tutto.
La grave colpa di Israele: l'invio di propri coloni nei Territori Occupati, restringendo sempre di più lo spazio vitale dei palestinesi. Di questi ultimi in realtà non importa molto ai paesi arabi, specie quelli ormai inebriati dal petrolio e dai guadagni che ne derivano: i palestinesi sono solo il comodo pretesto per creare tensioni internazionali e non hanno altra scelta che ricorrere alla guerriglia e, purtroppo, al terrorismo. Se ai tempi di Stalin l'URSS sembrava stare dalla parte degli ebrei, ora i sovietici si fingono sostenitori dei palestinesi; ma solo perché, negli equilibri della Guerra Fredda, Israele si avvicina all'Occidente; del resto milioni di ebrei statunitensi si risentirebbero se il loro Presidente abbandonasse al suo destino il piccolo Stato Ebraico circondato da un intero mondo arabo ostile. Specie quando il terrorismo palestinese si internazionalizza.
L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), la cui componente principale è al-Fatah guidata da Yasser Arafat, si dedica alla lotta armata per l'autodeterminazione palestinese. I suoi metodi non sono certo lodevoli, ma il mondo ricorda con angoscia gli attentati anti-israeliani che portano la firma del suo gruppo scissionista noto come Settembre Nero, soprattutto quelli alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 e all'aeroporto di Fiumicino nel 1973. Dopo altri vent'anni di sangue, tuttavia, nel 1993 sembra arrivare la pace, con la firma degli accordi di Oslo tra Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. La destra ebraica non approva e un fanatico assassina Rabin l'anno successivo. La strada è ancora lunga: si tenga presente che nel frattempo al-Qaeda dà l'assalto agli USA e alla voce "pretesti" ci sono sempre i legami tra Occidente e Israele, anche in questioni che non riguardano minimanente i palestinesi. Ma finalmente tra il 2004 e il 2005 Israele si ritira dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, che si trovano finalmente sotto l'Autorità palestinese.

Ma non è finita. Se la Cisgiordania è sotto il controllo di al-Fatah, il potere nella Striscia di Gaza è disputato tra questo e l'organizzazione islamica sunnita Hamas: dopo un conflitto armato tra i due gruppi sfociato nella Battaglia di Gaza, nel 2007 è Hamas ad assumere con la forza il controllo della Striscia e non è minimamente interessato alle trattative di pace, come dimostra con le sue incursioni in territorio israeliano. Anche se non c'entra nulla con i paesi arabi, l'Iran islamico sciita (alleato del Cremlino, sostenitore del gruppo sciita Hezbollah in Libano e della dittatura sciita di al Assad in Siria), odia Israele e comincia ad appoggiare Hamas, unico e inaudito caso di sciiti che stringono accordi con i sunniti, invece di combatterli. E qui finalmente arriviamo ai giorni nostri.
Nel 2023 a controllare la Striscia di Gaza c'è il bellicoso Hamas. Al potere in Israele c'è un primo ministro bersagliato da accuse di corruzione, criticato a livello internazionale per non avere rispettato gli accordi di Oslo e per la persecuzione dei palestinesi, detestato dagli ebrei per certe sue dichiarazioni antistoriche in favore di Hitler (!) e contestato dai suoi stessi connazionali per la sua deriva autocratica, molto simile a quella del Cremlino (con cui è in buoni rapporti), volta a mantenerlo al potere nonostante tutto. In questo contesto, ciò di cui il primo ministro isrealiano avrebbe bisogno sarebbe un casus belli che costringa il suo Paese al silenzio, perché lui deve "difenderlo". Ed ecco che Hamas gli consegna un casus belli su un vassoio d'argento.
Il 7 ottobre 2023, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, un'orda fuoriesce (imprevista, indisturbata, incontrollata) dalla Striscia di Gaza e invade il territorio israeliano, uccidendo 1200 persone (di cui oltre 850 civili), abbandonandosi alla violenza (anche sessuale) e sequestrando circa 250 persone che vengono portate come ostaggi oltre il confine. Un atto di guerra di cui anche il più ignorante in fatto di politica internazionale può immaginare le terribili conseguenze: una reazione violentissima da parte dell'esercito israeliano. Chiunque ad Hamas abbia ordinato l'incursione fuori dalla Striscia di Gaza sapeva benissimo che la risposta sarebbe stata sanguinosa, ma ha voluto a tutti i costi sacrificare migliaia e migliaia di vite di palestinesi innocenti, e per questo non è meno colpevole del primo ministro israeliano.

A poco più di sette mesi di guerra il bilancio supera i 35.000 morti palestinesi; non è dato di sapere la percentuale dei civili (e in particolare dei bambini), ma c'è da presumere che sia spaventosamente preponderante. Le città della Striscia di Gaza sono macerie. Milioni di persone che hanno perso tutto sono costrette a fuggire ora da una parte ora dall'altra, per sfuggire agli attacchi israeliani. Gli ospedali sono stati bombardati e gli aiuti internazionali stentano ad arrivare. Il massacro si aggiunge al massacro e nulla sembra convincere il primo ministro israeliano a fermarsi, nemmeno le contestazioni dei parenti degli ostaggi (di quelli ancora vivi, quantomeno) che chiedono di trattare. Perché tutto questo?
Perché qualcuno ne trae vantaggio. Per cominciare, il primo ministro israeliano: finché è il leader di un paese in guerra, nessuno può mandarlo via. Ma il cui prodest non si ferma a lui. A Teheran il governo teocratico può continuare a reprimere la propria popolazione, perché in realtà la sta solo "tutelando" dalla comprovata malvagità del mondo occidentale. A Mosca non solo si gioisce perché i massacri di Gaza hanno allontanato l'attenzione mediatica dalla guerra in Ucraina (lo ha dichiarato esplicitamente un delegato di Hamas in visita al Cremlino) ma si valutano ulteriori proficue implicazioni internazionali.
Come ho spiegato, gli USA non possono chiudere l'alleanza con Israele, malgrado la Casa Bianca abbia di recente sospeso l'invio di armi e abbia esplicitamente chiesto al primo ministro israeliano di fermare la guerra. Ma quest'anno negli USA ci sono le elezioni - situazione che ho riassunto un paio di mesi fa - e il candidato rivale del Partito Repubblicano (ben noto amico del Cremlino) è un individuo che, se potesse, manderebbe gli elicotteri a spargere napalm sui bambini palestinesi. Quindi l'attuale Presidente del Partito Democratico, se abbandonasse del tutto Israele, rischierebbe di perdere elettori e consegnare di nuovo il Paese al nemico.

Inoltre le legittime proteste studentesche in favore dei civili palestinesi non solo rischiano di essere strumentalizzate in funzione antiebraica (il nazismo è sempre in agguato, anche se si traveste da "sinistra"), ma hanno ulteriori applicazioni politiche anche al di fuori degli USA. Per esempio il governo spagnolo è uno dei più attivi in favore dei civili palestinesi e il suo primo ministro è un acceso sostenitore del riconoscimento dello Stato Palestinese, cui si sta dedicando a livello internazionale; pertanto (con una logica distorta) viene accusato da destra di essere amico di Hamas e dai giovani contestatori di essere "complice" degli israeliani: una manovra a tenaglia, secondo una tecnica già usata in passato in Spagna, il cui obiettivo è far cadere il centro-sinistra e far salire al potere la destra, sempre più vincolata all'estrema destra, sostenuta a sua volta dal Cremlino, come raccontavo giorni fa.
E poi c'è la strana replica della pantomima con l'Iran già avvenuta con gli USA (durante l'amministrazione precedente, non quella in corso, beninteso) nel gennaio 2020, che tutti hanno dimenticato ma ho ricordato giusto due mesi fa. Il 1° aprile 2024 Israele ha colpito con un missile l'ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo dodici persone tra cui due generali della Guardia Rivoluzionaria di Teheran: un inspiegabile, anche se "chirurgico", atto di guerra contro l'Iran e la Siria sua alleata. Il 14 aprile, come rappresaglia, l'Iran ha lanciato trecento fra droni e missili su Israele, quasi tutti abbattuti per tempo da uno scudo difensivo internazionale. E con questo si è esaurito il "conflitto" tra Israele e Iran, già pronto per essere dimenticato. Perché Israele ha colpito un bersaglio che in apparenza non aveva nulla a che fare con la situazione in corso? Era un messaggio per convincere l'Iran a tenere a freno i suoi amici Hezbollah in Libano? O era una manovra concordata tra Israele e Iran, in cui sono stati eliminati un paio di elementi che a Teheran risultavano ormai scomodi, dimodoché i due paesi potessero mostrarsi attivi e combattivi?
Insomma, mentre a Gaza i cadaveri si accumulano sopra e sotto le macerie, qualcuno continua i suoi giochi di potere e, come avviene da settantacinque anni, i civili palestinesi vengono sacrificati in massa. Le conseguenze per il futuro sono drammatiche: non solo continua ad aumentare il conteggio dei morti, non solo milioni di persone resteranno per sempre segnate da traumi insanabili, ma i superstiti più giovani cresceranno con il ricordo indelebile degli orrori che hanno vissuto. Nessuno spiegherà loro le colpe di Hamas, né gli interessi di un primo ministro israeliano detestato in patria. A loro resterà soltanto l'odio verso uno Stato e un'etnia che vedranno sempre come unici responsabili dello sterminio delle loro famiglie. Quanto basta a garantire al mondo guerra e terrorismo per le prossime generazioni, e allungare all'infinito la strada verso la pace.

(Immagine realizzata con AI.)

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