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Considerazioni di Andrea Carlo Cappi
16 febbraio 2022
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Sono un autore di spy story, non un politologo internazionale, ma mi permetto di fare alcune valutazioni in merito alla situazione di cui si occupa il romanzo "Agente Nightshade - Complotto Zerkalo" (Segretissimo Mondadori, giugno 2022). Si tratta di una storia di spionaggio e fantapolitica, un libro di fantasia, azione e intrattenimento, ma si basa su una serie di dati reali, oltre che sull'interpretazione di informazioni diffuse negli ultimi mesi.
In primo luogo bisogna tenere conto che nel 1991, al tramonto dell'URSS, Boris Eltsin concesse l'indipendenza a due delle repubbliche sovietiche più storicamente "vicine" alla Russia: la Bielorussia (Belarus) e l'Ucraina. I legami tra Mosca e Minsk sono rimasti forti, e la Bielorussia è tuttora visibilmente alleata della Russia; quelli con l'Ucraina furono più discontinui, tanto che questa negli anni Duemila diede inizio alle procedure per entrare nell'Unione Europea e nella NATO, come già fatto dai paesi un tempo membri del Patto di Varsavia e dalle ex repubbliche sovietiche del Baltico.
Se già Mosca soffriva mentre i paesi dell'Est europeo entravano nell'area atlantica e uscivano dalla sua influenza, ancor più doloroso era che volesse farlo l'Ucraina, dove diverse aree (in particolare la Crimea e le regioni di Donetsk e Luhansk, dette anche Donbass) hanno una popolazione in maggioranza russa.
Inoltre l'Ucraina è storicamente bilingue: il russo era la lingua prevalente nelle città e nelle regioni citate, l'ucraino dominava nelle campagne del resto del paese. La stessa posizione dell'accento in italiano (Ucràina o Ucraìna) deriva dalla pronuncia del nome in russo e in ucraino rispettivamente. Con l'indipendenza, l'ucraino è diventata l'unica lingua ufficiale, imposta a forza anche nelle aree culturalmente russe, dove esiste un legame che non poteva essere cancellato con una rapida decisione politica.
Per questi motivi Mosca ha sempre appoggiato i presidenti filorussi a Kiev, dove la gestione politica e l'incarcerazione degli oppositori assomigliavano molto alle regole in vigore nella fedele Minsk. Fino a quando furono sospesi gli accordi con l'UE nel 2013, per evitare lo spostamento dell'Ucraina verso ovest. Nel febbraio 2014 la rivolta di pazza Majdan portò alla cacciata del presidente filorusso Janukovych. Secondo la Russia la ribellione era stata fomentata da USA e UE, trascurando il fatto che la maggioranza ucraina non voleva (e non vuole) che il paese ridiventasse una colonia di Mosca e una fotocopia della dittatura bielorussa di Lukashenko.
La Russia rispose di lì a poco, occupando militarmente la penisola ucraina della Crimea e fomentando la ribellione del Donbass, nell'Ucraina orientale: le regioni di Donetsk e Luhansk dichiararono la propria indipendenza, non ancora riconosciuta a livello ufficiale, dando inizio a una guerra di confine in cui la tregua stabilita con gli accordi di Minsk viene violata con frequenza.
Per quanto fosse molto discutibile la scelta di intervenire con la forza o con l'appoggio ai separatisti, aveva senso che la Russia mettesse mano in quei territori. Anche se ciò comportava trasformare gli ucraini che vi risiedono in una minoranza.
Negli anni successivi però Mosca e San Pietroburgo si sono date molto da fare, inondando l'Ovest di fake news (ma attribuendole all'Ucraina), continuando a sostenere nemmeno troppo di nascosto il separatismo in Catalogna, la Brexit, i movimenti anti-UE nell'Europa occidentale e orientale, e l'elezione del presidente del Partito Repubblicano negli USA. Obiettivo conseguito: disfare l'Europa dall'interno e avere un amico a Washington. Subito dopo l'elezione del 2016, servizi segreti americani dovettero portare in salvo loro agenti in Russia, nel timore che il proprio "comandante in capo" li bruciasse. Si rischiò pure l'impeachment, quando il presidente repubblicano mise in difficoltà l'Ucraina nel tentativo di boicottare il proprio rivale alle successive elezioni per gli interessi finanziari di questi a Kiev.
Nonostante un'altra ondata di fake news a sostegno del presidente uscente, la rielezione auspicata nel 2020, invece, non ebbe successo: a sostituire l'amico di Mosca alla Casa Bianca - nonostante l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 - fu infatti il temuto rivale: l'amico di Kiev. Difficile non pensare che le pressioni sull'Ucraina non siano anche, in parte, una voluta provocazione nei confronti del nuovo presidente, del Partito Democratico.
Pressioni che si sono concretizzate in circa 130.000 soldati russi sul confine, esercitazioni militari congiunte con la vicina Bielorussia, spostamento nel Mar Nero persino della flotta russa nel Baltico (che ha dovuto farne, di strada). Un dispendio enorme di forze e di denaro che ha convinto l'Occidente dell'imminenza di un'invasione, usando forse un'operazione "false flag" come pretesto per l'attacco. Sono le ipotesi sostenute dall'attuale presidente americano - che peraltro, a un anno dall'insediamento, non ha ancora risolto tutti i problemi ereditati dalla precedente gestione e dalla pandemia, quindi è in calo di popolarità - e dal primo ministro britannico, in crisi per la questione del Partygate e, ora che la Brexit è avvenuta, forse non più utile al Cremlino. E viceversa.
La Russia ha reso note le sue richieste per ritirare le truppe dal confine: l'Ucraina non dev'essere libera di entrare nella NATO, qualora scegliesse di farlo, e i Paesi ex satelliti dell'URSS devono uscirne, tornando alla situazione del 1997. Il sottinteso: in caso contrario, per "difendersi" la Russia dopo l'Ucraina dovrà riservare lo stesso trattamento alla Polonia, la quale fa già parte della NATO e, (anche se non troppo convinta) dell'UE; peraltro il leader del partito PiS polacco non si fida più a prendere l'aereo, dopo che il fratello gemello, all'epoca presidente del paese, è precipitato anni fa insieme a buona parte dell'establishment di Varsavia mentre sorvolava la Russia (v. l'articolo La coincidenza Katyn).
Ovviamente l'Ucraina non può accettare che sia Mosca a decidere cosa lei debba fare. E la NATO non può espellere i paesi che vi sono entrati proprio per evitare di trovarsi in un nuovo Patto di Varsavia. Non resta che discutere, per scongiurare una presunta "legittima difesa" da parte russa.
L'UE sembra la parte più attiva nelle trattative diplomatiche, anche perché dipende - soprattutto Germania e Italia - dalle forniture energetiche di provenienza russa e già da tempo il peso delle bollette si fa sentire. Francia e Germania hanno ripristinato il gruppo di discussione "Normandy Format" con Russia e Ucraina che in passato ha condotto ai traballanti accordi di Minsk. Il nome nasce dal fatto che il primo incontro è stato celebrato a margine del 70° anniversario dello sbarco in Normandia, nel 2014.
Kiev continua a invitare alla calma: il timore occidentale di una guerra è un ulteriore danno all'economia del paese. Washington mantiene il dialogo, ma ripete che un'invasione è imminente: ha persino ipotizzato una data, il 16 febbraio.
Sembra un messaggio in codice per la Russia: il 15 infatti Mosca annuncia l'inizio del ritiro e mostra il video di carri armati che si allontanano su vagoni ferroviari (in quale direzione, però?). Il giorno dopo dagli USA viene fatto però notare che i militari non lasciano il confine ucraino e, anzi, altri se ne aggiungono.
Nulla per ora cambia davvero, in un senso o nell'altro.
Dietro le quinte: la questione delle risorse energetiche e in particolare il gasdotto Nord Stream 2, non ancora attivo, che dovrebbe rifornire la Germania. Con la dipendenza dell'UE dalle forniture di Mosca, non rimane molto spazio di manovra. Ne ride l'euroscettico premier ungherese, che un giorno stringe la mano a Madrid agli altri leader dell'estrema destra dell'Europa occidentale e il giorno dopo è al Cremlino, a garantire la sua amicizia in cambio di prezzi di favore sul gas. L'obbedienza è premiata.
Forse la Russia si accontenta di fare pressione alla frontiera (operazione che di per sé ha comportato spese enormi) perché già questo crea problemi a Europa, Stati Uniti e NATO, e ha gravi conseguenze sull'economia ucraina: i vantaggi di una guerra senza doverla fare sul serio. Anche perché i militari russi sul confine sono già provati da mesi di gelo: l'inverno da quelle parti non è il momento ideale per le operazioni belliche.
Ma non manca molto alla primavera.
Alla fine forse l'Ucraina, pur di tornare alla normalità, dovrà forse dimenticarsi della Crimea, dare un addio definitivo al Donbass e rinunciare alla NATO? Per l'Europa sarebbe persino un'opzione auspicabile.
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