"Non sono i popoli russo o cinese a volere la guerra, ma i loro leader", scriveva (cito a memoria dopo circa mezzo secolo) il fumettista Mort Walker nella sua comics strip satirica Beetle Bailey. Era l'epoca delle guerre di Corea e del Vietnam, quando scrittori come Joseph Heller con Comma 22 e Richard Hooker con Mash (e i registi Mike Nichols e Robert Altman che li portarono sul grande schermo nel 1970) lanciavano vetriolo sul militarismo statunitense e la sua propaganda.
Dev'essere per queste letture che, quando ho cominciato a pubblicare romanzi di spionaggio nel 1997, la mia posizione non era quella a tutti i costi filoatlantica di molti altri colleghi internazionali più famosi. Dopotutto avevo letto i libri di Ian Fleming, il creatore dell'agente 007: una certa critica bollava i film che ne venivano tratti come "fascisti", comoda etichetta per dire che gli "intellettuali" con certe cose non devono avere a che fare; Umberto Eco, di cultura enormemente superiore ai radical-chic che circolavano allora come oggi, li leggeva invece con un opportuno inquadramento storico-sociale e giudizio libero. Io, da adolescente, ne apprezzavo gli aspetti da noir chandleriano e (presumo inconsapevolmente per l'autore) da romanzo d'avventura salgariano.
Nondimeno mi colpirono una tormentata riflessione di James Bond in Casinò Royale su chi avesse davvero ragione (il mondo capitalista o quello comunista?) e le manifeste simpatie che l'agente segreto esprime in Un quantum di sicurezza verso la rivoluzione di Fidel Castro, dal momento che Fleming detestava il regime fascio-mafioso del dittatore cubano Fulgencio Batista. (Ma non avevate detto che 007 era fascista? Ah, già basta ripetere più volte una cosa che diventa vera anche se è falsa). D'altra parte Fleming non faceva mistero delle sue opinioni politiche. Pur avendo assistito come giornalista alla repressione di Stalin, denunciando nei romanzi l'operato dei servizi segreti sovietici, non voleva che il popolo russo fosse ritenuto "cattivo" per natura e concepì la Spectre come avversario "capitalista" di James Bond.
Avevo letto e amato anche i romanzi di John La Carré, con cui nel 2001 ho avuto l'enorme piacere di parlare di persona. La sua visione della spy story era lontanissima da quella avventurosa di Ian Fleming. Entrambi avevano esperienza dello spionaggio "vero". Ma il primo cercava di vivere per iscritto vicende epiche che, come geniale stratega da scrivania, aveva solo potuto sognare durante la Seconda guerra mondiale, contribuendo per inciso a salvarci sul serio dal nazismo. Il secondo invece aveva lavorato sul campo in Germania nella Guerra Fredda e ne conosceva i lati più oscuri, il che gli permise di criticare tutti: dall'intelligence britannico della sua epoca fino al servilismo pro-russo dell'attuale premier di Downing Street, durato fino a due o tre mesi fa.
Come scrittore di intrattenimento sono più vicino a Fleming, ma come autore di spionaggio non posso trascurare la lezione imprescindibile di Le Carré. Qualche commentatore ha osservato che nei miei libri "i cattivi sono gli americani", ma a ben vedere i miei "cattivi" sono tutti quelli che si comportano come tali.
Vent'anni fa ho criticato il regime incancrenito all'Avana e al tempo stesso le posizioni della famiglia Bush, sostenute dagli esuli cubani nostalgici dell'antica dittatura. Subito dopo ho denunciato i retroscena della guerra di Bush in Iraq nel 2003. Ho persino costretto il premier italiano in carica, proprietario della casa editrice che mi aveva pubblicato, alla rettifica di una sua affermazione imbarazzante citata in un mio romanzo. Forse lui sperava che fosse stata dimenticata. Di sicuro nessuno in Italia ha apprezzato la mia presa di posizione.
Ma, quando di recente ho cominciato a esporre magagne provenienti da Est, finalmente sono stato disprezzato da sinistra e da destra, in un'equanime condanna del libero pensiero. Mi salvano lettrici e lettori, una quantità silenziosa ma sufficiente a garantirmi di essere pubblicato, benché ignorato da buona parte dei media che non possono e non vogliono avvicinarsi a libri che, gli è stato detto, non sono nemmeno veri libri. Ieri però mi ha molto gratificato il messaggio di un lettore, che ho ringraziato. "i tuoi sono romanzi sociali molto attuali, non storielle", mi ha scritto. Certo, lui è avvantaggiato: li legge, quindi sa di cosa si tratta.
Ormai non ho niente da perdere: grazie a una falsa denuncia anonima (mai verificata dalla piattaforma oggi chiamata Meta, malgrado le mie richieste) da oltre un anno questo blog è censurato su Facebook, sul quale non posso postarne i link, a differenza di certi siti di propaganda di paesi stranieri che democraticamente possono diffondervi fake news. Gli stessi haters, dopo avermi boicottato e insultato, hanno democraticamente tentato di farmi tacere anche sulla piattaforma blogger/blogspot, che per fortuna (a differenza di Facebook) ha verificato la falsità delle accuse. In ogni caso sono in pochi a vedere le mie opinioni personali, quindi finché mi è permesso posso esprimerle liberamente. Anche quando i "cattivi" non sono americani.
Nella foto: A. C. Cappi, invitato come esperto di spionaggio a Pistoia in Giallo, 2017
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